I figli che nascono non sempre sono i figli che ti aspettavi di mettere al mondo, e dopo, capita, che non diventi il genitore che ti aspettavi di diventare e, forse, anche essere la persona che credevi di essere, le convinzioni che credevi di avere e così via discorrendo.
Tutto questo se è vero per le persone comuni, per chi mette al mondo un figlio con autismo diventa amplificato fino al punto di ritrovarsi letteralmente in altri panni che somigliano a una divisa che indossi solo perché, altrimenti, non ti potresti adattare a certe condizioni… I rapporti sociali diventano precari e lontani dalla propria realtà, anche quelli con i familiari e i parenti che non si rendono conto, non possono capire. Gli amici si diradano o scompaiono del tutto. Il mondo gira lo stesso ma la forza di gravità ti spinge altrove, dove non sei mai stata. Non hai tempo nemmeno per piangerti addosso o elaborare quell’accettazione necessaria perché inizia l’allenamento di uno sport estremo, fatto di equilibrismi alla ricerca di punti d’appoggio, affidabili, efficaci. Alla ricerca di “istruttori” competenti che, se esistono, per i loro interventi ti chiedono di seguirli con altre rinunce e senza garanzie di fare la cosa giusta.
Questo ė l’inizio.
Quando poi quel figlio, quella figlia diventa una persona adulta e non ti dà modo di riconoscere segni di miglioramento per una possibile vita indipendente dalla famiglia, che ti rassicurerebbe per il domani, inizia un’altra fase con la sensazione di essere presa a schiaffi continuamente, perché il nulla intorno è percepito come grave e violento mentre gli esperti, gli specialisti, si riempiono la bocca con i termini grave e gravissimo riferito a tuo figlio/figlia, facendoti sentire uno straccio di persona, senza scampo e alle prese con incompetenze, mancanze di servizi adeguati e strutture o residenze in grado di far vivere alle persone con autismo una vita degna di questo nome, quando i genitori non potranno più occuparsi di loro.
Parlando con un’amica l’ho sentita dire che è meglio che il figlio dia le capocciate contro il muro di casa piuttosto che farlo stare in quelle strutture e RSD che qualcuno si permette addirittura di chiamarle “eccellenze” o poli per l’Autismo.
Emanuela Borrelli
foto dell’autrice
riceviamo da Rosanna Marcodoppido: “non riesco a dirvi che mi piace perché non so quale delle mie password mettere. Mi aiutate? Comunque è una testimonianza molto toccante e vera. Ho seguito a volte bambin* autistic* come insegnante e so di cosa si sta parlando. Grande empatia e simpatia con chi ha scritto! Rosanna”
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