laboratorio donnae

dire, fare, baciare: lettera o testamento?

He Loves Me He Loves Me Not 1989(91x91)acrylic on canvas

Laboratorio Donnae, Roma 11/12 ottobre 2014, restituzione di Giovanna Nastasi, Udi Pesaro 

Pina voleva un titolo per il nostro intervento a Roma e, quando Antonella l’ha gettato là, nel bel mezzo della nostra discussione, l’abbiamo guardata con il sopracciglio “in soso”.  Riflettendoci poi, ognuna di noi ha colto in questo titolo ludico la leggerezza in  cui si nascondeva qualcosa di molto stimolante: leggerezza sì ma densa di significato. In questo titolo c’è tutto di noi come donne: movimento, parola, pensiero, azione, forza, amore, passione, energia e ricettività. Nei giochi dei bambini questo è un modo per far pagare pegno e quindi ha a che fare con le regole. Lettera o testamento: lo spiegherò in seguito. Ognuna comunque può coglierci ciò che vuole e interpretarlo come vuole.

Ci sembrava ripetitivo ripresentare la nostra esperienza presso il Tribunale di Pesaro per le fasi del processo ai responsabili del femminicidio contro Lucia Annibali e abbiamo così pensato di rileggere quella pratica alla luce dell’argomento di questa scuola politica: la forza delle donne.

La nostra ricettività nei confronti di questa vicenda si è evidenziata in primo luogo in tutte, come ha detto Bianca, su un fronte strettamente personale e, su questo fronte, le parole usate hanno riguardato aspetti propriamente  emozionali come: solidarietà, sostegno, affetto, compassione del dolore ma anche sdegno e rabbia, come ha sottolineato Cristina.

Dal contesto privato si è sviluppato e ha preso forza il fronte collettivo con la decisione di fare un presidio davanti al tribunale. Questo inizio  è stato qualcosa di fortemente politico, perché visto e rilanciato da altre/i. Abbiamo quindi unito la nostra forza che era lì rappresentata dai nostri corpi e dalle nostre parole politiche a quella di Lucia che per prima l’aveva esercitata trasformando l’azione violenta dal solito gioco di “vittima –carnefice” in un’azione di forza con la denuncia del colpevole e con l’esibizione del suo volto devastato dall’acido.  Lei per prima, senza esserne consapevole, aveva messo in atto quella “vulnerabilità intelligente” di cui parla Irene Strazzeri nello scritto pubblicato da Pina che ci ha stimolato e fatto riflettere sul tema della forza.

Il presidio ha messo in moto qualcosa che, all’inizio, non era previsto; ha dato vita a uno spazio di libertà inedita in cui è stato possibile esercitare, in modo altrettanto inedito, un tipo di forza che, unendosi a quella personale-soggettiva di Lucia, ci ha consentito di riuscire a pensare e scrivere con le  nostre parole una lettera alla P.M. dopo la sua requisitoria con la quale chiedeva la pena per gli imputati. Appellandoci al suo genere, con la stessa modalità con cui noi ci siamo presentate ai presidi.  Alla fine “io sto con Lucia” è stato il segno con cui abbiamo voluto farci riconoscere. La forza agìta ha permesso a tutte di sentirsi più forti e ci ha trasformate se, come scrive Stefania “stare con le altre donne dell’UDI a parlare, ricercare, discutere e prepararci per essere sempre presenti alle udienze in tribunale, mi ha permesso di avere chiaro cosa davvero significhi condivisione”, detto in altro modo anche da Cristina. La capacità di cogliere l’altra è stata la pratica, faticosa a volte, ma necessaria per costruire un’immagine collettiva efficace. La mediazione tra noi ha smussato gli angoli che ognuno ha.

Abbiamo inoltre capito che non è sufficiente agire perché l’azione sia significativa, occorre che quell’azione venga raccontata, con la consapevolezza che una pratica non è una tecnica che può essere ripetuta in ogni momento e occasione, perché si fonda sulla relazione. Ci vuole qualcuno che faccia conoscere quella pratica a chi non era presente e la tramandi come una sorta di testamento per costruire una storia, la nostra storia, la STORIA.

Per quanto ci riguarda, notevole è stato sentire l’appartenenza ad un luogo politico di donne: i nostri piedi a terra sono lì, lì sentiamo le nostre radici, la nostra forza che ci consente, nel movimento, di rispondere in maniere nuova a nuovi stimoli e che ci permetterà forse, attraverso la ricettività, di interpretare il futuro.

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immagine: Jane Eccles, He Loves Me He Loves Me Not 1989(91×91)acrylic on canvas

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