laboratorio donnae

restituzione 4° appuntamento Donnae

Al quarto appuntamento Donnae che si è tenuto lo scorso novembre a Manfredonia, c’erano donne venute da tutt’Italia, da Lugano e da Boston e c’erano anche molte donne di Manfredonia, di esperienze e di generazioni  differenti. Il nostro obiettivo era proprio quello di coinvolgere altre donne nelle realtà dove vivono, dove fanno e hanno fatto politica  per conoscerle e farci conoscere. Essere così tante e diverse è un grande risultato per noi, se si considera che i nostri appuntamenti sono completamente autofinanziati; ciò è possibile perché chi ospita si preoccupa di contenere al massimo i costi del vitto e dell’alloggio. Grazie anche ad un piccolo fondo costituito, fin dal primo incontro, con i contributi di alcune a cui attingiamo per sostenere le spese di altre. Fondo che si rigenera ad ogni appuntamento.

 

Noi che scriviamo – Annarita Del Vecchio, Raffaella Di Noia, Simona Trabucco – abbiamo avuto l’incarico dalle Donnae di “imbastire” una restituzione. Quello che segue è un lavoro fatto a caldo, l’abbiamo chiamato meta-narrazione, leggendo capirete perché.

Partiamo dalla fine.

Si è appena concluso il quarto incontro di Laboratorio Donnae a Manfredonia. Le altre sono andate via, tornano ai loro luoghi, ai loro territori, al loro agire politico consolidato o nuovo. Sono in auto, in treno e staranno ancora discutendo di questi due giorni intensissimi. Nella sede della cooperativa “Laboratorio Zarchar”, che ha ospitato l’incontro, siamo rimaste in tre, Annarita Del Vecchio e Raffaella Di Noia e Simona Trabucco.  Ci è stato chiesto di scrivere una restituzione di questo quarto appuntamento Donnae. Sistemata la sala, ci sediamo un po’ spossate nell’intimità dell’ufficio. C’è molto silenzio. Utile dopo due giorni di scambio così denso e con un vortice nella testa di parole, di riflessioni. Dalle sollecitazioni di questi due giorni intensi siamo ripartite con impeto per la restituzione.

Carta e penna, sguardi tra di noi e, nell’aria, odore di mandarini appena sbucciati…

Annarita: Sono contenta di come sia andato l’incontro, ora dobbiamo trovare il modo di restituire ma non è facile perché i contributi e gli interventi sono stati tanti e tutti davvero importantissimi.

Raffaella: E se dialogassimo, proprio come stiamo facendo adesso? Potremmo restituire quello che per noi è stato il Laboratorio Donnae tramite lo scambio che sta iniziando tra di noi, qui ed ora.

Simona: No, non sarà facile restituire. Questo è stato l’incontro più denso, più lineare nella continuità tra un intervento e l’altro, più profondo e maturo da quando Pina ha creato Laboratorio Donnae. Credo che il dialogo potrebbe essere la forma giusta e forse anche una forma nuova di restituzione, un modo diverso e forse più efficace per trasmettere quello che la narrazione ha lasciato dentro di noi. Ci sto. Annarita che ne pensi?

A: Va bene ragazze, potremmo anche sperimentare una meta-narrazione, il racconto di come vogliamo raccontare.

S: Ti sto perdendo…

A: Partiamo da quello che vogliamo restituire e lo narriamo sotto forma di racconto di questo dialogo.

R: Proviamo?

S:Ok, credo di aver capito, proviamoci!

A: Quello che mi sto chiedendo in questo momento è “perché noi tre?”.ùS: Io veramente mi sto chiedendo:“perché io?”…

A: Cosa ci unisce, in cosa siamo simili?

S: Sicuramente, se penso a come avete presentato voi stesse sabato pomeriggio, la prima cosa che mi viene in mente è che tutte e tre abbiamo in comune l’essere fuggite dalle città in cui siamo nate e cresciute. Tutte e tre siamo andate alla ricerca di altro e siamo andate lontano. Più o meno nello stesso periodo della nostra vita, alla ricerca di un luogo dove poterci definire, insoddisfatte di quanto il nostro luogo di origine ci proponeva o ci propinava.

R: E’ vero. Non è un caso che ci siamo noi tre qui oggi pomeriggio. Ci siamo rifiutate di restare dove siamo nate perché tutto intorno a noi ci stava stretto e siamo andate altrove. Ma credo che il nostro viaggio sia servito a prendere coscienza di cosa la fuga rappresentasse veramente e di cosa volessimo davvero fare e, quindi, a ritrovare noi stesse. Stando lontana da Manfredonia mi sono riappropriata di me stessa. Prima non riuscivo a stare qui e criticavo la mia terra e non capivo che, invece, tutto partiva da me. Mettere distanza fisica con la mia città non sarebbe servito a nulla. Ero io ad essere lontana da me.

A: Solo quando hai il senso di te puoi decidere veramente dove vuoi stare. Altrimenti operi una serie di “fughe intelligenti” che ti portano a vagare senza poter mai capire qual è il tuo desiderio politico e se mai ne hai avuto uno. Le fughe ti portano a fallire. Così ho deciso di tornare per capire perché avevo demonizzato così tanto la mia terra d’origine. Percepivo che il mio “problema” non era da ricercarsi tutto nel territorio che mi era ostile, ma nel fatto che sentivo di dovermi posizionare in un orizzonte già dato, già scritto da altri e da altre, con dinamiche a me sconosciute, estranee al mio modo di sentire la vita e la politica.

R: Esattamente, è quello che è accaduto anche a me. Una volta che hai preso coscienza di te trovi naturalmente la forza ed il coraggio di stare ed agire in qualunque luogo e tornare nel luogo da cui sei scappata, come è stato per me e Annarita. O restare a Lugano com’è per Simona. Così cominci a capire che il desiderio di radicarti non è molto diverso da chi ti ha preceduto e scopri le donne che sono venute prima, a cominciare da quelle più vicine. Scopri di stare in una genealogia che va guardata, riconosciuta, anche quando le donne che ne fanno parte non ti guardano e non ti ascoltano.

S: E’ stato importantissimo ieri aprire l’incontro con la presentazione del lavoro che avete fatto per realizzare la cooperativa, il “Qui ed ora. In un altro orizzonte” ha preso consistenza. Ho visto come vi siete fatte spazio, ho visto come in 2 anni da quando conosco Annarita, il suo “mi sento sola” detto a Roma alla scuola politica Udi del 2011 durante l’ultima delle sue fughe intelligenti, sia diventato un agire coraggioso che ha creato in men che non si dica un progetto con altre nella città da cui era scappata. Poi, ascoltando dopo di voi la narrazione delle donne “Bianca Lancia” della loro passione sofferente, la storia dell’occupazione di piazza negli anni 80 e la voglia di trasmettere alle giovani con la creazione di un’associazione, ho visto un ponte fra due realtà e due generazioni di donne completamente diverse. Un ponte che si è costruito qui in questa sede ieri.  Ho visto cos’è una genealogia ed ho pensato a me, alla mia esperienza di fuga da Latina e a cosa mi manca in quello che posso fare a Lugano. Ascoltare voi e le altre fa molta luce su dubbi che mi assillano da quando ho deciso di mettermi in gioco e conoscere cosa succede nella mia città e tessere delle relazioni con le altre ponendomi in ascolto e cercando il loro ascolto.

A: Si può stare in un luogo, qualunque luogo, e cambiare le cose solo spostandosi da un orizzonte già dato. Raffaella e io, ci siamo trovate e vogliamo, si, rispettare e custodire, se necessario, una tradizione, ma allo stesso tempo il nostro desiderio è rischiare su di noi, con le donne che hanno gli stessi nostri problemi rispetto al lavoro, per esempio. Per questo abbiamo pensato a una cooperativa che è insieme un progetto lavorativo e un progetto politico. Sappiamo che il cambiamento richiede spostamenti culturali, rischio e responsabilità.

R: Credo sia lo stesso punto di vista che hanno espresso le Femministe Nove quando hanno raccontato della loro esperienza a Paestum.

riflessioni personali fuori dal dialogo

Annarita: Quando Pina mi ha detto che sarebbero venute alcune delle F9, che pure hanno partecipato a tutti gli incontri precedenti del Laboratorio, tranne Pesaro, ho sentito immediatamente che ci avrebbero lasciato  una traccia importante. Il loro slogan “Non siamo Ereditiere, siamo Precarie” io me lo sono sentito nella carne fin dalla prima volta che l’ho letto. Ho ammirato il loro coraggio, la determinazione messa per  rompere un silenzio che per molte di noi giovani donne alle volte si confonde tra il rispetto e la paura di non essere ascoltate. Come ho scritto in un articolo per un giornale: incontrarsi non è mai facile, fare i conti con quello che è stato fatto rappresenta sempre una responsabilità; così come “guardare” ciò che sta nascendo e porsi in ascolto con il nuovo che emerge è un esercizio faticosa ma doveroso. Quando Sabato Teresa ha aperto il suo intervento dicendo che l’invito fatto loro da Pina non l’aveva sorpresa, anzi, se lo aspettava, a me è sembrato un riconoscimento per il Laboratorio che è vissuto come un luogo di libertà in cui ciascuna si può liberamente mostrare, raccontare. 

Raffaella: Ascoltare le F9 mi ha fatto un certo effetto. Il loro racconto è stato appassionato. Le loro parole erano intrise di tutta la fatica, il dolore e la gioia che sono state necessarie per arrivare a scrivere un documento comune e portarlo a Paestum. Però ho pensato anche ad altro. Sono una loro coetanea eppure se non avessi incontrato le Donnae probabilmente non le avrei mai conosciute. Credo che il loro lavoro sia prezioso e debba sollecitare anche noi. Quando Teresa ci ha raccontato che le sue amiche di una vita non conoscevano una parte essenziale di sé, il suo impegno politico e che hanno saputo di Paestum attraverso la rete, ho riflettuto sull’importanza della narrazione. Ma anche dell’esporsi. Allora c’è da chiedersi: non ci si racconta per paura del giudizio delle altre che ci hanno sempre viste e conosciute in un modo o perché crediamo che le altre non siano in grado di capire?

Simona: Ci volevano le Femministe Nove. Ho seguito in diretta il loro intervento a Paestum e letto e riletto tutto d’un fiato il loro manifesto. Ogni parola o slogan mi ha in parte ferita ed in parte sollevata. Ferita perché ha confermato a me stessa tutti i miei limiti. Sollevata perché sì, le F9 ci volevano. Ci voleva il loro gesto di affermazione come collettivo che contesta la dicotomia tra generazione di giovani e generazione di storiche e ne smaschera la falsità e l’inutilità. Ci voleva il loro agire come collettivo che riporta al centro il corpo e la fatica, anche fisica, di mettere insieme le esperienze individuali e farne un manifesto condiviso, dove ognuna ha fatto un passo indietro e negato una parte di identità e di conflitto per relazionarsi con l’altra e le altre. Quest’anno in cui mi sono un po’ messa in gioco ho conosciuto con amarezza il desiderio di donne mature che disconoscono qualsiasi forma di agire non corrispondente al loro pensiero radicale e non paragonabile a decenni di femminismo passato in cui io semplicemente non c’ero. Ho letto spesso donne porsi tantissime domande sul vuoto o sul nulla o sulla frammentazione, addirittura negare l’utilità delle iniziative che nascono spontaneamente in Italia e nel mondo, e colpevolizzare le nuove generazioni per il non essersi messe in ascolto. Ma un linguaggio autoritario non pone le basi per l’ascolto. Una demolizione dell’agire delle altre in nome di un passato che non c’è più non crea le basi per un ascolto reciproco né lascia lo spazio in cui ognuna possa riscrivere il proprio orizzonte. Le Femministe Nove mi sembra abbiano risolto queste dinamiche e, in questo momento mi corrispondono.

Torniamo al dialogo.

A: Solo così accade quello che ha detto Simonetta: se non ti poni in ascolto e non lasci all’altra la libertà di muoversi in un orizzonte diverso dal tuo, non si sa più cosa vuole l’una e cosa vuole l’altra. Se mi muovo in un orizzonte già dato, non riconosco me stessa e non posso riconoscere ed ascoltare le altre.

R:Credo sia quello che Simonetta ha chiamato “blocchi di non comunicazione” tra donne. La comunicazione presuppone che oltre al porsi in ascolto ed oltre alla narrazione del proprio agire politico,  noi – qui e ora –  impariamo a nominare i nostri desideri e cercare le forme politiche per realizzarli. Come ha detto Giovanna di Pesaro dobbiamo tornare a occupare lo spazio pubblico e per farlo dobbiamo imparare ad avere obiettivi condivisi, a partire dai quali proprio non si possa prescindere. Se io non scelgo e non dico, a partire dal mio desiderio, come posso operare degli spostamenti e costruire qualcosa?

S:Per fare questo è necessaria una politica delle donne che non si appiattisca sulle ragioni di partito. Le donne non sono stupide, sanno riconoscere l’autenticità delle azioni politiche.

A: Mi ha colpito che Pina abbia esplicitamente chiesto a Mariagrazia di parlare di sé e della sua esperienza in un partito e in un consiglio comunale. Il fatto che Mariagrazia abbia parlato di solitudine mi ha dato da pensare.

R: Forse dobbiamo riflettere sui reciproci pregiudizi, sulla paura che ci prende di essere strumentalizzate da parte delle donne dei partiti. Non è un problema nostro se qualcuna tenta veramente di strumentalizzare, ma è un problema nostro se temiamo questo.

S: Ascoltare una consigliera comunale che parla al Laboratorio Donnae per me è stato molto importante. Quando mi sono candidata a Lugano questa primavera l’ho fatto pensando di  sostenere delle donne, io non avrei potuto assumermi una responsabilità così grande ma l’istinto mi ha fatto andare verso quelle donne che avevano il coraggio di fare politica nel partito e che io sentivo vicine. Una è stata eletta ed io so che, quando avrò stabilito meglio il mio qui ed ora ed il mio orizzonte, potrò dialogare con lei e con le altre candidate. Ieri sera però è accaduto qualcosa di importante, Mariagrazia si è messa in ascolto e si è esposta al nostro sguardo,  e forse anche ai nostri pregiudizi,  in un racconto faticoso ma che ho trovato autentico.

A: Simona, tu ieri hai aperto la discussione con la domanda più difficile: come fa la politica delle donne a governare il paese, come si intreccia con la politica istituzionale e dei partiti?

R: Dovremmo rileggere l’intervista delle Femministe Nove, quella sull’ultimo numero di DWF… eccolo, “Gli spazi dell’agire politico. Tra radicalità, esperienza e conflitto”.

S: Sì, l’ho trovata, a pagina 23 e 24, è l’intervista di Teresa Di Martino a Celeste Costantino. E’ una senatrice che è anche una femminista. Dice che non ha mai pensato che l’attività politica si svolgesse solo dentro il perimetro delle istituzioni e che si è sempre impegnata anche in associazioni e movimenti. Quando Teresa le ha chiesto cosa l’avesse spinta a scegliere di entrare in un partito e nelle istituzioni e che tipo di relazioni la sostenessero nel suo percorso, lei risponde che essendo nata in una città, Reggio Calabria, dove, una volta uscita dalla scuola superiore, non c’erano altri luoghi dove prendere parola ed essere ascoltata, lei ha dovuto entrare in un partito, unico “luogo” dove potesse agire politicamente. Ha scelto di non demonizzare quel tipo di luogo e di agire, piuttosto che delegare. Non nega che le modalità ed i codici con cui si deve confrontare siano una piccola violenza che si infligge, ma che ha preferito abbandonare la retorica negativa e farsi appoggiare dalla sua rete associativa daSud. Insomma è un esempio positivo di come si possa creare quel ponte o quella mediazione fra politica delle donne e politica dei partiti, senza strumentalizzazioni.

A:…a proposito dei pregiudizi, pensavo che mi piacerebbe, forse a molte di noi piacerebbe,  uno sguardo istituzionale, meglio se di una donna, che riconoscesse il mio lavoro politico e lo sostenesse pubblicamente. Mi piacerebbe un dialogo che superi le rispettive solitudini, sia quella di chi è nelle istituzioni sia quella di chi è fuori. Invece temiamo, con ragione, non abbiamo ancora esperienza del contrario, di essere usate. Ma secondo voi è possibile costruire un dialogo rispettoso tra noi e le donne presenti nelle istituzioni? E’ possibile una mediazione come è stato in questi due giorni Laboratorio Donnae?

R: E’ importante non confondere il riconoscimento che le istituzioni debbono ad un fatto politico che avviene in una realtà, con la ricerca di una visibilità da spendere nelle istituzioni a scapito delle donne che vi hanno preso parte. Sicure di partecipare ad una iniziativa di donne. Da questo punto di vista penso che non è necessario entrare in un partito per fare politica, anzi. Si fa di più fuori che dentro un partito, si operano più spostamenti, si coinvolgono più donne.

S: Sì, in questo modo ognuna si concentra sul proprio desiderio, su quello che vuole fare davvero e non su quello che pensa si dovrebbe fare. Come ha detto Silvana, mentre rincorri a tutti i costi un ideale irraggiungibile, perdi l’occasione di fare altro, più alla tua portata, ma non per questo meno importante, meno soddisfacente. Vi confesso che più si avvicinava il 25 novembre più mi saliva un’ansia da prestazione che mi sono dovuta far passare, prima con le buone e poi con le cattive. Quello che faccio ora è quello che posso e so fare. E mi deve bastare. Quando sarò pronta, allora sarò pronta per tanto altro.

riflessioni personali fuori dal dialogo

Annarita: Io respiro nel sapere che c’è uno “spazio” per me. Io respiro nel sapere che non è uno spazio vuoto, ma al  contrario generato da altre donne. Su questo appuntamento avevo aspettative, ma anche infinite ansie e paure di non riuscire. Allo stesso tempo ero serena perché dal momento in cui Pina ha detto  “la prossima volta ci vediamo a Manfredonia”, ho sempre saputo che ogni donna che avrebbe partecipato (e non avrei mai creduto così tante ) l’avrebbe fatto per “occupare uno spazio” e nel contempo per “fare spazio”. E di questo non posso che essere grata e allo stesso tempo sentirmi responsabile.

Raffaella: Qui ed ora. Il mio orizzonte comprende Laboratorio Donnae e tutte le vite che si sono intrecciate con la mia, si sviluppa nella mia libertà di scegliere di essere qui e non altrove, di confrontarmi continuamente e di ascoltare anche coloro che non condivido. Laboratorio Donnae è uno spazio necessario. Molte cose non le capisco, non le condivido o semplicemente non le conosco. Mi metto in gioco. E il femminismo è ancora uno di quegli –ISMI che guardo con sospetto. Probabilmente ha ragione Simonetta quando dice che c’è bisogno di riempire le parole di nuovi contenuti.

Simona: Secondo me questo è un altro punto di forza di un collettivo come le F9. Sono un collettivo ma nel rispetto delle individualità. Raccontando, Viola e Roberta hanno detto di non essere la somma del già fatto altrove di ognuna di loro. Ognuna  riconosce il percorso delle altre ed lascia uno spazio al desiderio dell’altra perché il desiderio di tutte possa potenziarsi. Il racconto della loro esperienza di scrittura collettiva, di restituzione di significato alle parole che parlano delle donne e di riabilitazione dei corpi, non solo in piazza è stata viscerale. E’ il pregiudizio che mi fa parlare ora se dico che in un partito questa visceralità e questa autenticità non potrei mai trovarle? O è una proiezione? Magari c’è un po’ dell’uno e un po’ dell’altra. Rifletto sulla importanza di un agire frammentato e pervasivo. Penso a quanto è stato intenso e duro da digerire questo incontro. Alla fatica e al dolore dei percorsi di ognuna, penso a una cosa che ha detto Viola “per me questo è l’unico modo di sopravvivere”. Tanta verità e tanto coraggio nell’affermarla.

meta-narrazione, infine

R: Fino ad oggi non avrei saputo dire cosa significhi politica e non ho mai chiamato così quello che facevo. Sto invece capendo che il mio stesso vivere è politica e che da questa consapevolezza può nascere un pratica politica che può essere detta e condivisa. Antonella ieri diceva che per loro, per il gruppo dell’Udi di Pesaro, è importante andare in piazza, mostrarsi, non per fare “il cartello delle sigle”, ma per farsi vedere da quelle che ancora non le conoscono, come da quelle che le conoscono già. Agire e narrare sono azioni essenziali, strettamente collegate, che danno coraggio alle altre, operano spostamenti.

A: Adesso, noi non siamo ancora alla narrazione, alla restituzione del Laboratorio appena concluso. La nostra è una meta-narrazione, siamo troppo prese da quanto sta accadendo tra di noi, ora.

  1. E’ vero, forse avremmo dovuto mettere distanza tra quanto è accaduto e la “visceralità” di questo momento, dovremmo trovare il filo che colleghi emozioni e contenuti e restituirne il senso. Ma siamo in un troppo pieno. Allora, siamo davvero convinte di restituire il nostro dialogo, una meta-narrazione? Per caso abbiamo ancora del formaggio e dei finocchi?

A:Sì, facciamola così, questo è il nostro punto d’arrivo, abbiamo tanti Laboratori all’orizzonte…  Raffaella anche io c’ho fame, che c’è rimasto?

R: Finocchi, formaggio svizzero, mozzarella…

A: E porta tutto va, che facciamo merenda. Simona guarda che tu perdi l’aereo, al massimo alle 5 devi partire. Come rimaniamo?

S: Io provo a scrivere un canovaccio, si dice così? Poi ve lo mando e aggiungete quello che volete e ci sentiamo su skype una sera o il prossimo weekend. In genere scrivo molto di getto e rileggo poco dopo. Sono resistenze anche quelle!

R: Io lavoro fino alle 8 e mezzo-9 la sera, dobbiamo sentirci dopo quell’ora.

S: Ok, ci mettiamo d’accordo, datemi i vostri numeri di cellulare intanto. Il numero del Laboratorio Zarchar ce l’ho. Dai, prendo la valigia e vado almeno guido con un po’ di luce per un tratto. Mi dispiace andare via.

A: E chi lo sa, magari torni…

S: Se torno, torno a Latina, ma il mio “qui” adesso è a Lugano. Dai, fatemi andare che sono le 5!

A e R: E pigliate un po’ di tarallucci e di mozzarella!

S: Grazie ragazze, li porto in ufficio! Ora vado, mi mancherete!

Simona sale in macchina e guida piano verso l’aeroporto di Bari. Ormai è buio e mentre lascia la piazza di Manfredonia vede le due ombre di Raffaella e Annarita muoversi instancabili dietro la porta di vetro del Laboratorio Zarchar. Stanno finendo di sistemare la sala perché domani è lunedì ed inizierà una settimana di incontri con altre donne. Quanto lavoro, quanta fatica e quanto coraggio ognuna può imparare dalla relazione con le altre. Al prossimo incontro con Laboratorio Donnae a maggio, a Roma.

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