laboratorio donnae

Un libro, testo e pretesto

– scritto di Pina Nuzzo-  Comincio a leggere il libro di Paola Zaretti, Nel nome della Madre della Figlia e della particolare-di-appunti-su-tela1Spirita santa, e rimbalzo nel tempo. Torno indietro di anni, ritrovo il fermento delle discussioni appassionate e interminabili di fronte a concetti come disparità e genealogia. Per non parlare dell’ordine simbolico della madre di Luisa Muraro che segna un punto di svolta; il rapporto madre/figlia esce dal privato (o dagli incontri psicanalitici) per diventare materia di riflessione politica, su cui fare politica.

Penso a me e a cosa pensavo.

Ho desiderato che mia madre avesse autorità su di me. Questo avrebbe voluto dire che aveva parola nella sua come nella mia vita, ma così non è stato. Mia madre – come altre madri strette nella morsa del patriarcato – ha esercitato quella forma di potere che viene dall’essere compartecipe dell’istituzione della maternità. In virtù di questo una madre può insegnare la lingua e nello stesso tempo condurre al silenzio.

Per di uscire dal silenzio ho cercato la politica; avevo bisogno di un luogo dove cominciare a parlare e dare senso alla distanza, anche fisica, che avevo messo tra me e lei. Nella politica separata ho incontrato donne che mi hanno dato parola, donne che mi hanno fatto vedere l’autorità femminile. La vedevo perché agiva tra noi e ne regolava i rapporti. Nella politica delle donne ho capito quanto sia importante l’amicizia verso il proprio genere, che non significa diventare amiche.

L’amicizia verso il proprio genere viene prima di qualsiasi rapporto tra donne, anche prima della relazione, perché mette una misura tra me e l’altra ed un argine tra me e il genere maschile. In pubblico come in privato. In assenza di questo sentimento, quando si verifica un conflitto, le parole diventano sconsiderate, si appellano a un dover essere, appiattiscono una donna al pregiudizio sul femminile, fanno le veci del giudizio. Ciò crea confusione tra pubblico e privato, tra voglia di stare al mondo e voglia di conferme; allora può capitare che si rimproveri ad una donna di agire con autorità, può capitare che si traduca in richiesta di amicizia la difficoltà di misurarsi con lei, può capitare che le si dia una funzione, come se fosse nostra madre.

Ripercorro quegli anni attraverso il dialogo tra Angela Putino e Luisa Muraro che Paola Zaretti mette in scena “su un tema vasto, opaco e controverso qual è stato il rapporto tra Femminismo, Psicanalisi e Politica. Attraverso i pensieri e le Parole delle due donne – personalmente e politicamente impegnate su questi temi negli anni ’70 – pagina dopo pagina si torna a cercare la centralità e il merito allora riconosciuto a quel rapporto e alla sua funzione nell’ambito della “politica delle donne”, di cui oggi ci sembra di aver perso le tracce”.

Il dialogo tra le due è asciutto, incalzante, in  alcuni passaggi  si apre alle voci di altre protagoniste, restituendo il panorama delle relazioni e dei luoghi. L’autrice ha sicuramente vissuto direttamente il contesto di cui parla, lo si intuisce anche dalla passione che attraversa il libro, quasi un’urgenza di arrivare al fondo di questioni che ritiene ancora centrali – imprescindibili –  per la politica delle donne.

Scrive in apertura: “L’esito finale del lavoro è risultato un imprevisto, diverso, in verità, da come l’avevo fantasticato – breve e intenso, ironico e spregiudicato, fluido e mordace, interrotto e accompagnato, qua e là, da inserti musicali scelti per scandirne i passaggi cruciali, le tensioni e le passioni, i repentini estri di umore, gli sconcerti, le tonalità del cuore. Un imprevisto che, rigorosamente parlando, non può essere definito un “libro” per la semplice ragione che manca di tutto ciò capitoli, paragrafi e altro – che, secondo la prassi, fa di un libro un vero libro”.

Ma per essere un libro/non libro fa riflettere. Tra gli anni ’70 e ’80 – ero nell’Udi – ho letto quello che c’era da leggere e ho attraversato l’Italia per sentire dal vivo Irigaray, Muraro, Putino e altre di cui parla questo libro. Ho una memoria fotografica  degli  spostamenti in “massa” verso Venezia, Bologna, Roma, Milano, Napoli, Lecce…ci fu un gran movimento che cambiò la fisionomia dei luoghi, dei gruppi, dei rapporti delle amicizie.

Ricordo lo sbalordimento, quando, donne con cui avevo condiviso lunghi anni di “militanza politica”, in occasioni pubbliche, prendevano la parola e dichiaravano: parlo autorizzata da…parlo perché sono in relazione simbolica con…devo tutto alla mia madre simbolica…

Comportamenti che rompevano drasticamente con la politica fatta prima e con i rapporti intrattenuti fino a quel momento. Come se prima ci fosse stato il vuoto. Ma se il pensiero della differenza ha avuto un peso così grande nella politica delle donne, in Italia, non è perché c’era un vuoto, ma perché c’era un pieno, permeabile.

La dimenticanza di quello che c’era stato prima ha fatto scendere il silenzio su segmenti importanti della nostra storia collettiva; ha generato solitudini e disconoscimenti. Su questo ognuna di noi avrebbe qualcosa da raccontare. Personalmente ho deciso, da tempo, di non diventare ostaggio del passato, mi appassiona di più spendere le mie energie per dare forma alla politica che mi piace, in cui far agire le differenze, le capacità  che ci sono tra di noi, la storia che ciascuna ha maturato.

E questo libro è utile, aiuta a ricordare come siamo state e apre tanti interrogativi sul presente.

Pina Nuzzo

PDF testo

l’immagine è un particolare di “appunti su tela” di pinanuzzo

Un commento su “Un libro, testo e pretesto

  1. overjean
    21 novembre 2013

    L’ha ribloggato su O C T A G O N.

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Questa voce è stata pubblicata il 21 novembre 2013 da in appuntamenti, conosciamoci, donne, femminismo, informazione, letture, politica.

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