laboratorio donnae

L’antico dolore delle donne

fragile, angela reilly Antonella Petricone 

Non è stato semplice entrare nel dolore delle donne. Un dolore antico, un dolore che odora di terra bruciata sulla quale è necessario, è doveroso ri-costruire parole e immagini nuove, differenti, corrispondenti. Dalle macerie di ciò che è rimasto, che è arrivato a noi in maniera frammentaria e spezzata, occorre recuperare pezzetti della nostra storia, storia di donne violate, dimenticate, messe a tacere. Questo mi sono detta, anni fa, quando mi accinsi ad affrontare la mia tesi di dottorato sulle donne e la Shoah e la violenza di genere che l’ha attraversata. La voce inascoltata di tante donne incontrate nel mio percorso di studio, ha risuonato dentro di me come una litania che ancora oggi non trova la sua quiete. Dare spazio a quella voce è stato l’obiettivo della mia ricerca storico-politico-letteraria ed è il cuore pulsante del mio lavoro di operatrice antiviolenza. LEGGI TUTTO ( dal sito della Società delle Letterate)

 Elena Tebano intervista per City  Antonella Petricone in occasione di una mostra  sulla  prostituzione  forzata nei lager nazisti, un fenomeno pressoché sconosciuto. La mostra, organizzata dalla Cooperativa BeFree, si è tenuta nel 2010 presso il Museo della Liberazione di Roma.

Quando si parla dei crimini del nazismo, si pensa al genocidio degli ebrei. Voi mettete in evidenza un ulteriore elemento, poco conosciuto: la prostituzione forzata. Cos’è?

L’11 giugno 1942, Heinrich Himmler, il capo supremo delle Ss, autorizzò i comandanti dei lager “a fornire femmine nei bordelli ai detenuti più laboriosi”. Le donne erano costrette a fornire servizi di sottomissione sessuale per motivare i militari e i prigionieri dei campi.

Erano ridotte in schiavitù?

Di fatto. L’oppressione delle donne, l’esistenza di torture legate al “genere”, è un aspetto poco conosciuto del nazismo e del fascismo. Questa mostra, creata nel 2005 dal gruppo viennese “Die Austeller” e dall’università delle Arti di Berlino, cerca di documentarne una parte.

Perché fino a pochi anni fa non se ne sapeva praticamente niente?

Le vittime non ne hanno mai parlato per vergogna di essere considerate prostitute. O per paura che le accusassero di collaborazionismo. Nessuna è stata risarcita per lo sfruttamento sessuale nei lager. Anche i nazisti, all’epoca, cercarono di nasconderne il più possibile l’esistenza.

I bordelli erano in tutti campi?

Sappiamo che strutture di questo tipo, chiamate “edifici speciali”, esistevano in almeno 10 campi. Tra cui Mauthausen, Auschwitz, Buchenwald, Dachau e Sachsenhausen. Le prigioniere fatte prostituire venivano soprattutto dal lager di Ravensbrück (a 80 km da Berlino), che era tutto femminile, e da quello di Auschwitz-Birkenau, anch’esso femminile.

Quante donne sono state coinvolte?

Almeno duecento.

Erano ebree?

No. La maggior parte di loro era di origine tedesca, imprigionate nei campi con l’accusa di essere “asociali” – categoria nella quale rientravano sia le persone con problemi mentali, che quelle considerate “immorali”. C’erano anche molte prigioniere politiche: tedesche, polacche, ucraine, russe o dei Paesi Bassi.

Ufficialmente, sotto il nazismo la prostituzione era osteggiata. Perché allora aprire dei bordelli nei campi?

Era un “divertimento” per “rinfrancare” i militari tedeschi, soprattutto nella Polonia occupata. Inoltre Himmler lo considerava “un incentivo” per la produttività dei deportati, che dovevano lavorare nei lager a sostegno dell’economia tedesca. Era una sorta di “premio di produzione” per i più instancabili.

Quindi era usato per “controllare” meglio soldati e internati nei lager?

Esatto. Doveva anche servire a prevenire pratiche omosessuali, che il regime considerava peggiori della prostituzione.

Ma quali prigionieri potevano “usufruirne”: anche gli ebrei?

Assolutamente no. Era un privilegio riservato ai detenuti di origine tedesca, “asociali” oppure criminali comuni, e a quelli “politici” o di guerra – con la sola eccezione dei sovietici, che erano considerati quasi al pari degli ebrei. Bisogna dire che molti prigionieri politici protestarono come poterono contro i bordelli.

C’era un diverso trattamento a seconda dei “tipi” di prigionieri…

Anche questa era una forma di controllo. C’era un sistema di funzionari tra gli internati: venivano usati per sorvegliare gli altri. Oppure c’era chi lavorava per l’industria tedesca. Erano due delle categorie che potevano “guadagnare” l’accesso al bordello grazie a buoni premio.

Era tutto organizzato e pianificato in modo “razionale” – per quanto l’insieme fosse un meccanismo assurdo, folle.

Sì, è una delle caratteristiche del nazismo. Gli “edifici speciali” erano confortevoli e ben organizzati. In più avevano ferree regole igieniche. Le donne, prima di essere costrette a prostituirsi, erano visitate, nutrite e tenute in quarantena. Erano obbligate a lavarsi dopo ogni rapporto sessuale e sottoposte a controlli medici.

Non per il loro benessere, immagino.

Per evitare la diffusione di malattie nei campi. Tutto era organizzato come un sistema produttivo. Non c’era niente di “umano”: le stanze dei bordelli erano dotate di spioncini, perché le sorveglianti potessero controllare che i rapporti sessuali avvenissero a dovere. E, soprattutto, per evitare che prigionieri e prostitute forzate parlassero e solidarizzassero.

È incredibile.

Sì, avevano previsto tutto, e in modo da evitare qualsiasi forma di ribellione o sabotaggio. Un sistema di burocratizzazione dell’orrore e dello sterminio

Cosa ne è stato delle donne prostituite?

Non è chiaro. Erano tenute in condizioni fisiche migliori delle altre internate. Ma se rimanevano incinte, per esempio, venivano costrette ad abortire – alcune ne sono morte. La viennese Irma Trksak, una delle sopravvissute all’inferno di Ravensbrück, racconta di quando furono liberate alla fine della guerra. Le ha descritte così: “Erano rottami umani. Ogni giorno dovevano concedersi a un’infinità di uomini. Uscirono dai lager distrutte, rovinate per sempre, molte sull’orlo della morte”.

 elena.tebano[chiocciola]rcs.it

fonte: http://spoliticablog.blogspot.it/2010/01/il-giorno-della-memoria-prostitute.html

l’immagine è un’opera di  Angela Reilly

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