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la mia resistenza resiliente

nadia-tsakova.

Sogno tutto ciò che mi dicono che non si può più sognare. E non mi arrendo.

Questo è il mio promemoria, questo è ciò che tento di ricordare ogni giorno.

E non si tratta di sognare lo straordinario, ma si tratta soprattutto e paradossalmente di sognare il quotidiano.

Vi spiego perché, ma prima di farlo vi racconto l’antefatto. Faccio un piccolo salto indietro.

Era luglio 2010 quando con la mia valigia, non più di cartone ma sicuramente piena di me e dei miei ultimi quattro anni a Barcellona, torno in Italia con il sogno, il desiderio e forse anche l’illusione che il mio paese fosse pronto a ri-accogliermi.

Tornavo entusiasta e soprattutto desiderosa di costruire; tornavo con quella speranza vera e forte che la mia terra, forse era anche lei desiderosa di darmi una possibilità.

Infondo avevo con me un bel bagaglio di esperienze e competenze e mi rifiutavo di credere al vociare di amiche e amici che non si stancavano di ripetermi: resta là, qua non è un paese per giovani.

Mi sembravano esagerazioni di un popolo a volte troppo lamentoso.

Più tardi mi sono resa conto che la nostalgia amplifica la bellezza, e la mancanza ti fa sragionare.

Ma andiamo avanti.

Faccio un pit stop di un anno a Firenze, comincio a ricordare (a ri-vivere) il bel paese. Mi rendo conto che forse qualche vocina di quelle, aveva ragione.

Un anno di sopravvivenza nella culla del Rinascimento mi sembra sufficiente per decidere di tornare a Manfredonia, il paese che mi ha dato i natali per intenderci.  Decisione non facile, ma inizia a diventare sempre più forte quella sensazione della non-scelta.

Allora decido che devo trovare il modo per attutire il colpo, che essere brave a sopravvivere è un conto, ma quando poi si comincia a logorare tutto il resto la faccenda diventa insostenibile.

Di nuovo la mia valigia, con un anno in più dentro e paradossalmente con un po’ meno di me.

Con il ritorno a Manfredonia comincio a sentire sul mio corpo cosa significa essere precaria; cosa vuol dire inviare dieci, cento, mille c.v. verso il nulla (vista la quasi totale assenza di risposte); quale sensazione si prova quando ogni volta alla fine di un colloquio e/o riunione senti la fatidica frase “non abbiamo budget ma comunque guarda che fa curriculmu”; così come le infinite ore passate davanti ad un computer a scrivere progetti e a fare networking.

Se poi a tutto questo si aggiunge la fatidica domanda, che ormai si ripete in ogni dove “Allora, hai trovato lavoro? Ma allora tutti sti studi non sono serviti a niente?”, la tragedia è consumata.

Una volta a Manfredonia, ho provato a costruirmi una possibilità. Insieme ad altre donne abbiamo provato a darci una risposta. Per svariate ragioni, per mille cause interne ed esterne non ha funzionato, abbiamo provato a r-esistere ma non ha funzionato. Ma questa è un’altra storia.

E di nuovo scelgo la mia valigia.

Scelgo di restare in Puglia e mi rendo conto di quanto sia bella, lunga e variegata.

Comincio a spostarmi sotto e sopra sempre con la mia piccola valigia rossa.

Scelgo di andare lì dove c’è una piccola possibilità, ma non più la possibilità della mia vita: ma tante piccole possibilità.

Questa volta ho fatto una scelta consapevole e non al ribasso.

Ho deciso che non voglio soccombere, ho scelto di spostare dal centro della mia vita/identità la questione del lavoro così come ce l’hanno fatta immaginare (studia, formati e troverai un lavoro stabile) e come realmente è in questo momento (frammentato, sottopagato, non tutelato, non riconosciuto etc etc etc).

Posso dire di aver scelto una resistenza resiliente.

Ho deciso che non posso solamente resistere,

Mi muovo lì dove ci sono le mie relazioni. Vado dove posso riconoscermi nei volti, nelle parole, nelle azioni di chi come me sta cercando di resistere.

Costruisco ogni giorno piccoli pezzettini. Costruiscono ogni giorno quello che voglio per il mio domani cercando di mantenere sempre la speranza e la determinazione.

Ogni giorno resisto e mi ripeto: Sogno tutto ciò che mi dicono che non si può più sognare. E non mi arrendo

Annarita Del Vecchio

immagine di Nadia Tsakova

2 commenti su “la mia resistenza resiliente

  1. Silvia Neonato
    25 aprile 2015

    Credo tu abbia ragione Annarita. O almeno a me risulta convincente ciò che scrivi. In bocca al lupo: oggi è il 25 aprile, ragazze e ragazzi ricominciarono a costruire la democrazia in piena guerra. Non è una grande lezione?

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  2. Annarita
    27 aprile 2015

    Ciao Silvia, grazie per le tue parole.

    Il 25 aprile è assolutamente una grandissima lezione che cerco di non dimenticare nella mia battaglia quotidiana. Perché è proprio così che ci si sente, in continua lotta, in uno stato perpetuo di resistenza per non soccombere.
    E ricordare ciò che è stato, per affrontare ciò che è.

    Grazie ancora.

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Questa voce è stata pubblicata il 23 aprile 2015 da in conosciamoci, donne, lavoro, resistenza con tag , , .

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