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ripartire da casa, libertà e necessità

femme_maisonLavorare per le donne ha sempre voluto dire muoversi su un crinale, stare dentro/fuori il mercato del lavoro, stare dentro/fuori lo spazio pubblico e quello privato, tanto che si può parlare di “una precarietà lunga secoli”. Essere costantemente a rischio le ha rese duttili così da rispondere “alle rigidità dell’ordine economico, sperimentando una partecipazione sempre difforme al modello proposto.” Di questo parla il libro scritto da Sandra Burchi “Ripartire da casa, lavori e reti dallo spazio domestico” pubblicato da Franco Angeli.

Si può avere un’idea di cosa significhi essere duttili oggi attraverso le interviste che l’autrice fa a dieci donne, tra i ventinove e i quarantanove anni, “precarie” da casa. Ho letto  con molta attenzione e anche curiosità le loro storie che mi hanno fatto conoscere più da vicino donne che, altrimenti, non avrei occasione di incontrare perchè troppo diverse da me per età e per storia. E’ interessante la descrizione minuziosa delle fatiche e delle invenzioni che hanno messo in atto per aggiustare gli spazi, per renderli più funzionali…e sensati, mi vien da dire.  Mi torna in mente Anna che ha cambiato più volte la sistemazione della sua camera da letto fino a farla diventare, all’occorrenza e con pochi spostamenti, l’inquadratura perfetta per video conferenze. Penso che questo, e tanto altro, avviene grazie anche alla complicità con il compagno, infatti nessuna delle nuove forme di lavoro di cui si parla sarebbe possibile senza una forte determinazione e senza il sostegno di chi vive nella stessa casa.

Torna nei loro discorsi la voglia di “fare tutto da sole”, quasi una forma di rivincita sui tempi e sui modi con cui si è costrette a lavorare; è come se dicessero: se precarietà deve essere allora meglio autogestita. Questo però non significa essere sole, anzi vuol dire costruire e mantenere una rete di relazioni – “formali e informali” –  che consente di ampliare le occasioni di lavoro e di proporsi in modo competitivo; che poi vuol dire essere sempre disponibili, pronte a cambiare velocemente programmi. Ma far fronte agli imprevisti, e non solo, quando si hanno dei figli è complicato, allora diventa fondamentale l’aiuto delle madri.

 “Non lo abbiamo mandato all’asilo – dice Francesca – perché ci sono tutti questi aiuti, i miei genitori sono entrambi in pensione, per loro non è un peso ma una gioia.”

L’ovvietà di questa affermazione, che si ripete, mi infastidisce, probabilmente perché viene naturale mettermi nei panni della nonna. E perché, se guardo alla mia esperienza politica, in tempi recenti, mi imbatto frequentemente in donne che non possono partecipare perché devono occuparsi dei nipotini. Capita di leggere su Facebook, nella pagina di un evento: “non sono potuta venire perché dovevo fare la nonna”.

Sul fenomeno delle nonne a tempo pieno c’è molto di non detto, da parte delle madri e delle figlie. Tuttavia è evidente che la cura delle relazioni torna a essere inscritta nello spazio domestico, perpetuando un modello di welfare  che abbiamo combattuto, tanto caro al mercato del lavoro nel nostro paese, basato sull’aiuto tra generazioni di donne. Ripartire da casa, oggi, per donne per cui la casa non rappresenta il luogo dell’oppressione vuol dire non dover scegliere tra necessità e ambizione, avere padronanza di sé e del tempo nello spazio privato. Rimane aperta la contraddizione con lo spazio pubblico, con l’organizzazione sociale. A cominciare dagli asili percepiti come servizio per le madri e non come luogo di socializzazione per i bambini.

Sfuggire a un’identificazione che passa per i valori tradizionali, vuol dire sottrarsi a quel binomio “femmes-maison” che Louise Bourgeois aveva magnificamente illustrato, ormai quasi un secolo fa, con le sue serie di disegni in cui i corpi femminili, troppo grandi, premono contro i limiti e le chiusure di appartamenti e palazzi troppo piccoli.

L’immagine che Sandra utilizza in chiusura rende molto bene l’idea che mi sono fatta delle donne intervistate e delle donne di questo tempo: corpi troppo grandi. Donne costrette ad essere all’altezza delle loro stesse aspettative, ad andare avanti su un terreno di sperimentazione, inteso come libertà, non solo come necessità. Ma quello che io temo, probabilmente è quello che vogliono, consapevoli di rappresentare una nuova frontiera, sia rispetto alle donne che le hanno precedute, sia nei confronti delle coetanee. In questo assomigliano di più ad alcune immigrate che hanno saputo affrontare situazioni di partenza svantaggiate e non si sono arrese diventando piccole imprenditrici, commercianti, sarte, artigiane; cominciando da casa, con grande inventiva.

Questo libro, in definitiva, offre materia per pensare, è un ottimo pretesto per parlare di politica: una cosa che mi appassiona sempre.

Pina Nuzzo

immagine di  Louise Bourgeois: femmes-maison

3 commenti su “ripartire da casa, libertà e necessità

  1. Pingback: Ripartire da casa, libertà e necessità – Pina Nuzzo » Il paese delle donne on line

  2. Paolo
    23 aprile 2015

    “non sono potuta venire perché dovevo fare la nonna”.

    molto bello, lo sarebbe anche se i nonni dicessero altrettanto

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  3. nicolettanuzzo2013
    24 aprile 2015

    Spazio pubblico/privato, c’è tanto da riflettere….lavorare a casa permette più concentrazione e meno dispersione per interruzioni o conflitti interpersonali, ma non sempre l’attività svolta trova riconoscimento nello spazio pubblico. Bisogna avere tenacia, passione e sostegno per sostenere l’invisibilità e l’inconsistenza in cui a volte si è gettate/i e tutto questo ha costi d’identità vissuti in privato senza la solidarietà di una lotta collettiva.

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