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Maternità e paternità: psicolinguistica dei significati

di Giusi Ambrosio

DIRITTI, AMORE, FAMIGLIA, FELICITA’.  Sono parole di forte impatto emotivo che occupano tanta parte del dibattito relativo alla forma della procreazione mediante un utero in affitto e alle vite di tanti soggetti che ne sono partecipi. I Significati assumono un senso linguistico e psicologico non sempre coincidenti, in quanto l’alone semantico si dilata e passa dalla aderenza al reale alla aspirazione ideale e alla costruzione dell’immaginario. Pare che si stia a un discorso sulle origini e alla definizione delle forme più intense del desiderio. Pensiamo il senso dei binomi Diritto e Famiglia, Amore e Felicità.  Proviamo a pensare come siano declinati e realizzati nel presente sociale e nella storia millenaria di ogni società.  Crediamo che intorno ad una nascita per maternità spontanea o per maternità surrogata si siano concentrati tali principi e che in tale senso il mondo reale, sia una verifica di Diritto e Famiglia, di Amore e di Felicità? Se proviamo a distrarci o sentire l’eco delle affermazioni sembra quasi che un mondo nuovo dovrebbe sorgere a partire da nascite di bambini e bambine mediante tecnologie che utilizzino un utero in affitto, si sostituiscono ad una emotiva vita di accoglienza e di cura di un corpo mente di donna.   Anche se in tal caso il corpo di madre diviene un vuoto da ignorare, uno scarto del processo riproduttivo. Crea una qualche dolorosità leggere su striscioni o felpe di bambine “è l’amore che crea la famiglia”. Dolorosità che si esprime nella volontà di lottare per sostenere una speciale eccezionalità. Un postulato da assumere per dare inizio a una visione del mondo di cui dubitano solo coloro che hanno il bisogno di enunciarlo.

In giorni come questi che stiamo vivendo e forse da molto tempo è in atto una operazione linguistica che non solo genera qualche confusione nella elaborazione del pensiero ma che si svolge in riferimento a forme giuridiche che sorgano a sostegno dell’uso di tecnologie neutralizzanti il senso del nascere e dell’essere al mondo.

Maternità e paternità sono al tempo stesso posti all’origine del desiderio e resi equivalenti nella relazione con i bambini e le bambine che ne costituiscono il FINE.

Da molte parti con sinceri intenti garantisti e protettivi si afferma infatti che il modo di venire al mondo non può e non deve essere causa di discriminazione.  E chi potrebbe voler affermare il contrario? Ma purtroppo è il modo di venire al mondo che di fatto costituisce una privazione, contiene in sé la negazione di alcuni diritti prioritari nella costituzione di un essere che viene al mondo, fondanti identità biologica, forme del vivere nelle relazioni. Nella maternità surrogata si espone una insignificanza della madre nella costituzione di un essere che viene al mondo, e la prima negazione che si attua è al diritto alla conoscenza fisica della madre e alla visione immaginaria di un corpo di donna come proprio luogo di formazione. A questa negazione di diritto alla conoscenza della propria origine segue la negazione del diritto ad essere nutrito/a da un corpo di donna con allattamento al seno, pratica quando avviene di difese organiche e godimento emotivo. Cosa poi di grande significato culturale è ancora la negazione di un diritto non meno profondo che è l’apprendimento della lingua materna. La parola di madre è il primo insegnamento nella formazione del pensiero. La lingua materna è il modo di entrare in relazione con il mondo, dare nome alle cose, significare i bisogni e i desideri, esprimere la gioia e il dolore. Con la maternità surrogata che spezza alla nascita tale relazione questi diritti vengono negati. Ancora non si giunge a definire l’apprendimento della lingua come derivante dal padre, lingua paterna? Una differenza con la negazione della lingua, messaggio corporeo, balbettio e lallazione, parola, denominazione delle cose, espressione dei bisogni e dei sentimenti. Proposizione della lingua paterna e psicolinguistica di un nuovo apprendimento?

Una generica e indefinita affermazione dei diritti per bambini e bambine nati/e mediante la GPA nasconde la finalità di accogliere senza molta riflessione la pratica che ha reso possibile il venire al mondo da un corpo di donna preso in prestito e come un contenitore svuotato di senso. Quale senso del diritto si basa sulla negazione del diritto materno?  mentre la paternità viene affermata come principio unico, fondamento del vivente. Si parte da una oggettiva disparità tra chi vuole acquistare e chi ha necessità di offrire la capacità generativa sperando solo in una anestesia dei sentimenti e in una indifferenza della corporeità. Una diseguaglianza all’origine e come tale consentita.

Allora potremmo provare a comprendere di quali confusioni psicolinguistiche ci si serve in una discussione che ha al suo interno una originaria crudeltà e la negazione del legame con la madre. Il primo diritto negato. Proviamo a considerare a quali equivoci si può giungere nella confusione linguistica a definizione dei significati.

MATERNITA’ e PATERNITA’ rappresentano i due principi definiti come fondanti ogni essere umano. Ma non sono equivalenti. Anche se specularmente hanno la stessa formulazione linguistica quasi in uno specchio un rimando di forma, nella realtà del divenire dei corpi hanno un senso diverso; la paternità ha un senso giuridico e in quanto tale parte da un riconoscimento di responsabilità all’origine, mentre la maternità oltre il senso giuridico ha anche un senso psicofisico nella formazione di un embrione che giunge nel suo corpo a formazione completa e poi dal suo corpo alla nascita. La paternità e la maternità non sono uguali, non si equivalgono, non si corrispondono. 

LA PATERNITA’ E’ UNA IPOTESI, LA MATERNITA’ E’UNA TESI. Le diverse condizioni, epoche, tempi storici, culture, religioni hanno nel tempo definito le forme in cui socialmente e culturalmente potessero svolgersi e affermarsi sia la maternità che la paternità MA DOPO LA NASCITA. Tra la maternità e la paternità come soggettività che possono esprimersi dualmente vi è la distanza di un tempo lungo del divenire e di un luogo unico in cui ciò può accadere che è il corpo di donna. IL TEMPO DELLA GRAVIDANZA IL TEMPO DELLA MADRE IL CORPO DELLA MADRE. LA NASCITA AVVIENE DAL CORPO DELLA MADRE.

Una differenza che è una priorità generativa nel corpo della donna. La maternità prima della paternità nella unità di corpo mente stabilisce un rapporto interiore di rilevanza fisica e psichica. I CORPI hanno un loro linguaggio che è una comunicazione esclusiva di emozioni, stato di benessere o di sofferenza, desiderio di mettere al mondo e angoscia della perdita.  Questa esperienza unita al mutamento del proprio corpo accogliente e al timore di non esserlo a sufficienza solo una donna può compierla, solo una donna può comprenderla o anche averne timore, anche non volerla patire. Si, perché la gravidanza è anche un patimento e ancora più complesso il partorire. Che nessuno abbia la insensibilità di negare. Sembra che una amnesia generale abbia colpito quanti sostengono la maternità surrogata come pratica del donare, un altruismo ascetico, quasi una via alla “santificazione per altruismo” sofferta nella frontiera della schiavitù. Forse della schiavitù delle donne incubatrici bisognerebbe parlare quando si agitano bandiere di modernità e rivendicazioni di diritti.    

Con la pratica della gestazione per altri si opera una cancellazione della maternità. Anche la gestazione, la gravidanza viene svuotata di senso, posta come prestazione occasionale di un servizio biologico, privo di implicazioni emozionali, vissuti psichici, elaborazioni della corporeità in accogliente trasformazione. La donna è un vuoto, la madre non esiste.

Vi è una forma di delirio maschile, di generatore dal nulla di altro vivente, in una esaltazione biologistica del principio che mette al mondo, lo spermatozoo.  Le tecniche sono un ausilio a tale programma di fecondazione da cui poi far derivare e proclamare i diritti paterni.

La paternità così sostenuta ha anche la proprietà TRANSITIVA per cui si estende a un altro individuo maschile che ha il merito di essere convivente. Questo altro principio paterno viene presentato come fondamentale per i diritti del bambino o della bambina.  Quasi sembra scandalosa insensibilità ritenere non registrabile tale omogenitorialità e una condanna alla minorità per chi può avere un solo genitore.  Credo che i diritti siano propri di ogni individuo e a nessuno pare di doverli negare a quanti non hanno genitori viventi o sono figli di sola madre. L’equivoco si basa sul convincimento che i diritti discendono dal padre, e che averne uno solo costituisce una menomazione.  Al contrario avviene che sono i nuovi nati, il bambino o la bambina, che esprimono diritti ad ascendere, sono il bambino o la bambina che rendono il convivente del padre un secondo genitore. La rivendicazione di opportunità di ruolo e di funzioni paterne potrebbe anche essere di condivisione di accoglienza, non articolo di registrazione anagrafica.

Ma purtroppo per gli uomini la sofferenza per non aver avuto parte alla riproduzione è uno stato di minorità difficile da gestire. Biologia e diritto sono parte irrinunciabile del patriarcato.

immagine di Mary Cassatt

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Questa voce è stata pubblicata il 21 luglio 2023 da in donne, femminismo, maternità, maternità surrogata.

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