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femminista in azienda, racconto di ottobre 2014

hannah-hoche28094da-dandy- 21919La risposta dell’azienda alla mia segnalazione di una molestia.

Il mese scorso sono stata testimone e diretta interessata di una molestia sul luogo di lavoro. Ho raccontato qui cosa è accaduto. Dopo aver segnalato all’ufficio risorse umane quanto accaduto (era più o meno la metà di settembre), ho atteso una risposta che però, dopo un mese, non era ancora arrivata. Quindi alcuni giorni fa ho mandato un’email chiedendo se c’erano aggiornamenti. La responsabile Risorse Umane mi ha richiamata quasi subito e questo è quanto ci siamo dette al telefono (tra parentesi i miei commenti)

Lei: “Scusa il ritardo con cui mi rifaccio viva, ma sai dopo la tua segnalazione sono andata in vacanza (un mese prima…) e poi non ho avuto modo di parlarne con il mio responsabile. Il fatto è che, sai, adesso, dopo un mese, è difficile andare dal diretto interessato (il molestatore) e fargli un richiamo… (il tono di voce è esitante, rallenta per vedere che reazione avrei avuto al suo tentativo di lasciar cadere la segnalazione…)… Poi tu, un mese fa, nella tua email non ci hai scritto il nome della persona che ti ha offesa e quindi noi non ci siamo praticamente mossi…”

Io con tono incalzante e per niente amichevole: “Beh, se il problema era che volevate un nome, perché non me l’avete chiesto subito? Nella mia segnalazione vi ho detto che avevo individuato il dipendente nell’elenco aziendale. Potevate chiedermelo, no? Cos’è, avete fatto finta di niente perché la cosa cadesse? Il problema è che non vi ho messo subito il nome per iscritto? Se non ti avessi sollecitato la cosa due giorni fa il mio rapporto sarebbe stato ignorato?” (incalzo lasciando intendere che se loro ignorano, io parlerò a livelli più alti)

Lei, cambiando completamente tono e assumendone uno di scuse:” No, no, no, davvero, non intendo dire questo, è che ora come facciamo ad andare dall’interessato e fargli un richiamo per una cosa accaduta piu’ di un mese fa?”

Io. “sono fatti vostri, puoi parlare col suo capo e dirgli che hai assistito ad un evento spiacevole, che avevi deciso di tenerti la cosa per te ma che la persona “offesa” ti ha fatto la segnalazione. Insomma non mi sembra proprio questo il modo di gestire le segnalazioni”.

Lei: “hai ragione, assolutamente dobbiamo fare qualcosa. Non accettiamo che in azienda si facciano commenti del genere! Ma scusa, allora dimmi chi è stato”.

Faccio il nome e cognome.

Lei: “ah, pero!”

Io: “perché questo commento?”

Lei: “eh, perché non è uno da cui mi sarei aspettata un commento sessista di quel genere”

Io: “ah no? E perché? Che ruolo ha in azienda?”

Lei: “E’ un pezzo abbastanza grosso”

Io: “Beh, non vuol mica dire che sia un ignorante maschilista, anzi”

Lei: “no, no certo, è che, sai, magari non intendeva offenderti, io un po’ lo conosco, è uno che piscia fuori dal vaso…”

Io: “io non sapevo chi fosse e questo idiota, scusami ma non mi viene nessun altro termine per definirlo, mi ha detto che ero venuta a chiedere un aumento vestita in modo seducente: se voleva o non voleva offendermi non mi interessa. Ti sembra normale che uno si rivolga così ad una collega? L’azienda tollera questi commenti?”

Lei sulla difensiva: “No, no, ma tu hai perfettamente ragione! E’ che conoscendolo, sai, di sicuro non ci ha pensato a quello che diceva…”

Io: “beh, è ancora più grave allora: lui non sapeva chi fossi, potevo essere una cliente, e mi ha dato della troia davanti a tutti. Non oso immaginare che “battute” faccia alle colleghe con cui lavora gomito a gomito tutti i giorni! Cosa fa per dare loro il buongiorno? Dà le pacche sul culo come fossero delle puledre?”

Lei: “lui ha sicuramente sbagliato, sai dico solo che è uno che non pensa…”

Io: “meno male che è un pezzo grosso…, eppoi, guarda, a me non interessa che è uno che pensa o non pensa. Questo imbecille ha dato un segnale pessimo a chi ha assistito alla scena. Continuiamo a tollerare che se sei donna e sei in azienda l’hai data a qualcuno? Che non è il tuo posto? E’ questo che l’azienda vuole? Che diciamo “poverino, è uno che non pensa”? E non prendere nessun provvedimento, neanche un richiamo con delle spiegazioni che i nostri valori, il nostro codice di condotta sono stati violati? Facciamo tanti corsi sull’etica e poi… a cosa servono? ”

Lei, cercando di recuperare: “sicuramente qualcosa dobbiamo fare, la nostra azienda ci tiene che non venga alimentata la cultura sessista sul luogo di lavoro…”

Io: “bene, allora questa è l’occasione giusta per parlare con questo tizio ed il suo capo e fare presente che certe distrazioni sono gravi: siamo già in pochissime donne a lavorare qui, se poi dobbiamo essere trattate come delle raccomandate e giudicate sempre per come ci vestiamo, IO NON SONO INTERESSATA A LAVORARE IN QUESTA AZIENDA. Io mi vesto come mi pare ed è gravissimo che uno mi veda per la prima volta e gli esca dalla bocca una cosa del genere! Senza contare che ha offeso anche il mio capo, quello che gli aumenti me li dà da diversi anni!”

Lei: “ma si, io ora penso a come parlarci, sai, se fosse uno del magazzino, un operaio, fare anche più fatica ad andare a parlarci…ma questo lo conosco, ho più confidenza”

Io: “beh visto che questo è un pezzo grosso dovrebbe capire meglio l’antifona, no?”

Lei: “allora facciamo così, io lo chiamo e gli dico che l’ho sentito dire una cosa un mese fa e che volevo tenermela per me ma che la diretta interessata ha fatto una segnalazione e devo fargli un richiamo”

Io: “ok”

Lei: “vuoi che faccia il tuo nome?”

Io: “non c’è bisogno”

Lei:“ok, allora procedo e ti faccio sapere com’è andata”

Io: “ok grazie”.

Passa una settimana e ieri ricevo un’altra telefonata. La responsabile Risorse Umane mi ha detto di aver convocato il mio collega molestatore dopo aver parlato col capo di questo. Ha detto che il tizio si è scusato all’infinito e che si è giustificato dicendo che per lui quella frase era una battuta come un’altra,  non diretta personalmente a me (?) e che lui fa spesso queste battute!

Mi ha detto anche che si è vergognato come un ladro mentre lei si ripeteva e gli spiegava il motivo per cui era stato convocato e che fare battute sessiste è vietato dalla policy aziendale.

Mi ha detto che mentre riceveva il richiamo (verbale, non sarà fatto un richiamo scritto) lui ad un certo punto si è vergognato tantissimo: evidentemente deve aver realizzato che quella che per lui è una battuta in realtà viene percepita come qualcos’altro, qualcosa che lui IGNORA.

E infatti, pur essendo contenta dell’azione intrapresa (dopo qualche insistenza) dalla mia azienda, mi sono chiesta se il messaggio sia arrivato: quell’uomo ha capito cosa c’è dietro la sua “battuta”?

Ha capito che ogni volta che una di noi viene giudicata, squadrata, valutata per come si veste o per quanto è bella e non per come lavora, studia, si impegna, ogni volta si sta ripetendo la stessa vecchia storia di oppressione e svilimento del femminile? Io non sono sicura che lui abbia capito e non sono sicura che fare un semplice riferimento alle procedure aziendali serva a molto. C’è una grande ignoranza su cosa siano il sessismo, le sue origini patriarcali e i suoi effetti nella vita di tutti i giorni e di tutte noi.

Voglio vedere però gli aspetti positivi di quanto accaduto: il primo è che temevo la mia azienda mi avrebbe delusa, ma tutto sommato si è comportata in modo professionale. Una forte delusone avrebbe potuto compromettere tutta la mia fiducia. Sono fatta così e non voglio cambiare affatto (anzi, voglio trovare sempre più il coraggio di denunciare. Serve!). Il secondo è che sono sicura che la prossima volta che vorrà fare un commento azzardato, quel tipo ci penserà un paio di volte. Spero che la lezione sia servita a lui e che la mia segnalazione sia servita alla mia azienda che  non credo ne riceva troppo spesso, e  non perché non ce ne siano le premesse…

Un’altra cosa che voglio fare è raccontare ai miei colleghi che ho fatto una segnalazione che l’azienda ha tenuto in considerazione facendo un richiamo all’interessato. Non farò nomi, ma farò capire che è ora che aprano gli occhi e che non sono io quella “fissata”.

Sono felice di aver avuto la possibilità di esercitare un mio diritto. Non sono una che sta zitta e credo che se parlassimo tutte, se alle “battute” rispondessimo opportunamente (e non ridendo per assecondare l’idiota di turno o per non passare per quella “antipatica” o acida o diversa da gruppo) tutto cambierebbe più velocemente.  Non dobbiamo sentirci in colpa per essere diverse. I sensi di colpa fanno male, richiedono espiazione. E di colpe, di altri però, noi donne ne abbiamo già espiate abbastanza.

Qui  ho scritto  i racconti di altri episodi importanti di cui sono stata diretta protagonista.  Se volete raccontare le vostre storie potete inviarle al mio indirizzo femministainazienda@gmail.com e le pubblicherò in forma anonima  su questo blog affinché siano di esempio e diano coraggio ad altre.

 

immagine di Hannah Höch, Da Dandy, 1919. Photomontage, 11 13/16 x 9 1/16 inches

 

3 commenti su “femminista in azienda, racconto di ottobre 2014

  1. Anna
    3 novembre 2014

    Sarò cattiva ma non mi riesce di essere fiduciosa, per me non ha capito un bel niente è troppo lontano da questa logica e ha solo “abbozzato” per convenienza e immagine.

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  2. Femminista in azienda
    12 novembre 2014

    Secondo me non è importante che lui abbia capito la portata o l’origine del suo gesto, ma che abbia capito la portata della reazione dell’azienda: io credo che lui si sia spaventato e vergognato questo è un inizio. Ha capito che certe azioni che per lui non sono altro che scherzi o battute non sono tollerate dal suo datore di lavoro, quello che gli paga lo stipendio a fine mese. Sono sicura che segnalare sia servito, a lui e anche all’azienda.

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  3. virginiamanda
    1 dicembre 2014

    Sì, anch’io credo che “l’essersi vergognato tantissimo” sia il punto di partenza almeno per lui per capire come comportarsi.
    Penso ci siano molta ignoranza da parte maschile su quanto certi commenti feriscano e tanta accondiscendenza/omertà da parte femminile che li fanno proliferare.
    Non mi è mai capitato niente di simile, ma forse perché mi è sempre capitato di lavorare in ambienti in cui il capo fosse una donna.

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