Il 13 Giugno il comitato “no 194” ha promosso una manifestazione a Bologna. Su questo blog abbiamo scritto più volte per dire che sull’autodeterminazione non si torna indietro. Continuiamo a farlo con le nostre parole
Se non lo ascolto, allora non parla. Se non lo vedo, allora non esiste e se non esiste non posso viverlo.
Vivere l’esperienza del proprio corpo significa avere la possibilità e la capacità di porsi in ascolto con un corpo che ha memoria, un corpo che parla, un corpo che non mente. Uscire dal meccanicismo e automatizzazione non è cosa facile, l’esperienza del sentire non è cosa da poco.
Abbiamo imparato a vivere in una schizofrenia costante (corpo-mente), perché ce l’hanno insegnato, perché è più comodo, perché pare che sia più facile da controllare (in tutti i sensi). Abbiamo diviso, parcellizzato separato ciò che in realtà è unità indissolubile. Abbiamo deciso, ad un certo punto, che era più comodo pensare rispetto alle singole parti, agire sui singoli organi, curare i singoli sintomi.
Ci siamo dimenticati/e dei nostri corpi e qualcun altro/a ha cominciato a farlo per noi.
Ci portiamo dietro un corpo costruito sulla dimenticanza, ci portiamo dietro un non-senso che spesso ci lancia nel baratro nell’inadeguatezza, lasciando che qualcun altro/a dica e faccia per noi.
Perché vi parlo di questo?
Perché questa è la condizione generale in cui veniamo al mondo e la modalità con cui ci muoviamo nel mondo.
Perché tale condizione diventa ancora più dolorosa e complessa quando si tratta dei corpi delle donne, assumendo i toni di una vera e propria emergenza quando il corpo di una donna diventa crocevia di strumentalizzazioni, ideologie, non-esperienze fatte di parole non-incarnate.
Ed ecco che ti ritrovi a vivere una solitudine disumana, un giudizio atavico, un silenzio assordante.
Questo è quello che sta accadendo oggi rispetto alla 194/78. Questo è quello che si sta verificando nei consultori, negli ospedali, nei luoghi dove si decide.
Annarita Del Vecchio
immagine di Mary Beth Edelson