di Giusi Ambrosio
Come risulta evidente dal dibattito in corso molte parole usate e abusate hanno perso di senso e di fondamento.
Libertà, diritti, autodeterminazione nella esperienza politica e esistenziale delle donne hanno avuto il valore di costruttiva conquista del proprio essere in una tensione morale che legava il corpo e la mente.
Utilizzare tali parole per sostenere che ad esse si ispirano e di esse si alimentano le scelte di donne che danno in prestito o in affitto il proprio utero significa svuotare di ogni significato e valore l’esperienza femminile della gravidanza. Significa anche non voler capire che mediante tale pratica viene affermato il primato e il potere maschile esclusivo sulla generazione di un essere umano.
Il diritto paterno sostiene tale desiderio e l’utero in affitto lo rende possibile. Un seme utilizzato per fecondare un ovulo diviene principio fondatore del diritto e base di una relazione esclusiva con un altro essere umano. Possibilità maschile di programmarsi come padre di un essere umano utilizzando un corpo di donna come vaso nutriente di una vita che le sarà estranea.
Il seme maschile pensato come principio di realtà, come Verbo o Logos, mentre il corpo della donna come materia che nella gestazione assume la funzione di vaso che si dilata e al termine si svuota.
Mercificazione e alienazione lo rendono possibile.
Imprevista la collocazione “modernista” di tante donne che pure si sono dette femministe. Un grande avvilimento!
La ricchezza del pensiero femminista risulta smarrita, contorta, dissipata.
immagine dal diario di Frida Kahlo